Attesa sul Malecon
07 Marzo 2023
Il Malecon è luogo di attese, di incontri, di sguardi sull'Oceano. Si pesca pesce e si raccoglie vita. Quella vita che a Cuba corre ai trecento orari nonostante la sua imperturbabile immobilità ...
07 Marzo 2023
Il Malecon è luogo di attese, di incontri, di sguardi sull'Oceano. Si pesca pesce e si raccoglie vita. Quella vita che a Cuba corre ai trecento orari nonostante la sua imperturbabile immobilità ...
19 Febbraio 2023
Un nome quasi impronunciabile: Kahramanmaras. Oggi è una città fantasma, rasa al suolo come colpita da una esplosione atomica. Sorgeva vicino all'epicentro del sisma che il 6 febbraio ha squarciato la Turchia. Impossibile non provare un dolore lacerante nel petto difronte al fiume di immagini che ha invaso con tutta la sua tragica potenza le nostre case. Immagini di distruzione e di morte accompagnate ad altre di speranza. La macchina della solidarietà internazionale si è mossa raggiungendo in poche ore le zone devastate della Turchie e della Siria strappando tra le macerie vite alla morte e dando conforto ai sopravissuti. Tra queste ce n'è una che più di tutte ha colpito lo sguardo dell'osservatore facendo in poche ore il giro del mondo. E' quella di un padre che stringe e sorregge la mano della figlia morta sotto le macerie della loro casa. Lui è Mesut Hancer e potrebbe avere 30 anni come 300. Lei è la figlia Irmak,15 anni.
Nel mezzo della distruzione, tra la polvere degli edifici spazzati via e il fragore assordante della terra che trema, l'immobilità di questa foto ferma anche il nostro cuore. Quella di Mesut è una sofferenza silenziosa, intensa, apparentemente rassegnata. E' una sofferenza che si fa dono e protezione per la figlia che non c'è più. Vi ho riconosciuto l'immagine di un padre che non vuole abbandonare neppure per un attimo nelle tenebre della morte la mano della figlia. Un gesto estremo d'amore. Masut che accompagna Irmak e Irmak che consola il padre. E' una foto straziante ma densa d'amore, una foto che proclama che la vita vince sulla morte.
Osservando questa foto il mio pensiero si è proiettato su un'altra immagine meravigliosa. Una "foto" scolpita nel marmo negli ultimi anni del 1400 da Michelangelo Buonarroti. La sua "Pietà", una realizzazione di una bellezza soprannaturale. Maria che sorregge il corpo privo di vita di suo figlio Gesù in un abbraccio che è nello stesso tempo maternità, protezione, pietà, condivisione. Il volto di Maria non esprime dolore come non lo fa quello di Masut. La sua mano sorregge il Figlio come quella di Masut lo fa con la sua piccola. Maria tiene sulle ginocchia Gesù cosi come fece nella grotta di Betlemme per consolare i suoi primi vagiti di uomo. Masut sorregge la mano di Irmak cosi come avrà fatto tante volte per accompagnarla nei suoi giochi o nella sua vita di donna.
Cosa si può fare oltre che a fermarsi a contemplare il Dolore e l'Amore? Possiamo forse porci delle domande, provare a trovare delle risposte o voltare lo sguardo altrove per non essere disturbati. Dov'è Dio ci si chiede difronte a questa devastazione? Dio è li, basta cercarlo. Dio è addormentato tra le braccia di sua Madre, Dio è sua Madre stessa che accoglie quel corpo martoriato in un abbraccio estremo d'amore. Dio è nella mano di Masut che non abbandona la figlia neanche per un istante, Dio è anche Irmak che con quel ultimo gesto sembra consolare il padre. Nella immobilità delle due istantanee c'è tutta la dinamicità della nostra vita. Un Dio strano, a volte inconcepibile, che soffre con con noi, che ci sorregge e ci consola. E' difficilissimo crederlo e chi ci riesce è fortunato perchè altrimenti ci troveremmo a fare i conti con una vita senza senso. Che lo si chiami Dio o Allah il suo amore si manifesta in quelle mani che si sorreggono reciprocamente. E' lacerante ma è l'unica riflessione che riesco a fare. Se no, ciò chi resta, è l'abisso della solitudine dei cuori e il vuoto della ragione.
16 gennaio 2023
Il 13 di gennaio 2023 Papa Francesco ha inviato un messaggio al popolo di Cuba in occasione del 25° anniversario del Viaggio Apostolico di San Papa Giovanni Paolo II a Cuba compiuto tra il 25 e il 28 gennaio del 1998. Ancora oggi risuonano distinte le sue parole quando energicamente implorò che " L'Isola si aprisse al mondo e il mondo a Cuba". Papa Bergoglio riferisce che in occasione di questa commemorazione si recherà sull'isola caraibica il Cardinale Beniamino Stella che in quegli anni era Nunzio Apostolico in terra cubana.
La visita del Papa polacco rappresentò un avvenimento di portata storica trattandosi della prima compiuta da un Pontefice della Chiesa Cattolica a Cuba, avvenimento che tracciò il solco per un nuovo cammino da intraprendere nelle relazioni tra Stato e Chiesa piuttosto compromesse dopo il successo della Rivoluzione castrista nel 1959. Come gesto riconciliatorio il governo cubano reintrodusse nel 1997 la Festività del Santo Natale, consentì la riapertura di numerose chiese e permise l'esercizio di altre manifestazioni religiose. Dopo Papa Giovanni Paolo II altri due Pontefici hanno visitato l'Isola: Papa Benedetto XVI nel marzo del 2012 e Papa Francesco a settembre del 2015.
Di seguito il testo della lettera scritta da Papa Bergoglio:
Al santo Popolo fedele di Dio che peregrina a Cuba
Mi piacerebbe che in questo tempo rievocaste nei vostri cuori i gesti e le parole che il mio predecessore vi ha rivolto durante la sua visita, affinché risuonino con forza nel presente e conferiscano un nuovo impulso per continuare a costruire con speranza e determinazione il futuro della vostra nazione. Una delle sue esortazioni in quel momento è stata: «Affrontate con forza e temperanza, con giustizia e prudenza le grandi sfide del momento presente; tornate alle radici cubane e cristiane e fate tutto il possibile per costruire un futuro sempre più degno e sempre più libero! Non dimenticate che la responsabilità fa parte della libertà. Inoltre, la persona si definisce principalmente per le sue responsabilità nei confronti degli altri e di fronte alla storia» (Messaggio ai giovani di Cuba, 23 gennaio 1998).
Anche io vi incoraggio a tornare alle vostre radici cubane e cristiane, ossia alla vostra identità propria, che ha generato e continua a generare la vita del vostro paese. Queste radici si sono rafforzate permettendoci di vederle crescere e fiorire nella testimonianza di tanti di voi che lavorano e si sacrificano ogni giorno per gli altri, non solo per i propri familiari, ma anche per i vicini e gli amici, per tutto il popolo, e in modo particolare per i più bisognosi. Grazie per questo esempio di collaborazione e di aiuto reciproco che vi unisce e che rivela lo spirito che vi caratterizza: aperto, accogliente e solidale. Continuate a camminare insieme con speranza, sapendo che sempre, e in particolare in mezzo alle avversità e alle sofferenze, Gesù e sua Madre Santissima vi accompagnano, vi aiutano a portare la croce e vi consolano con la gioia della resurrezione.
Come segno della mia vicinanza e comunione con l’amato popolo cubano, che annovera grandi scrittori e artisti, vorrei ricordare alcune parole di padre Varela, che esprimono il bisogno di radicarsi nel bene e la fecondità di questo sforzo: «Dopo essersi radicato, l’albero ben presto allargherà i suoi rami e alla sua ombra riposerà la virtù». Questo albero pieno di vitalità può ben rappresentare l’uomo che radica la propria fiducia nel Signore, come dice il profeta Geremia: «Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti» (Ger, 17 8). Confidando nel Dio della vita, vi invito a continuare ad andare più a fondo nelle vostre radici con coraggio e responsabilità, e a continuare a dare frutti uniti nella fede, la speranza e la carità.
Che Gesù benedica il popolo cubano e che Nostra Signora della Carità del Cobre vi custodisca e vi accompagni. Prego per voi e vi chiedo, per favore, di pregare per me.
Fraternamente,
Francesco.
31 dicembre 2022
Papa Benedetto XVI, Marktl - Germania 16 aprile 1927 - Roma 31 dicembre 2022.
Papa Ratzinger visitò Cuba dal 26 al 28 marzo del 2012 in occasione dei festeggiamenti dei 400 anni del ritrovamento della statua della Madonna da allora venerata come la Virgen del Cobre.
Riporto alcuni passaggi significativi delle omelie tenute durante le funzioni celebrate a Santiago e all'Avana:
Cari fratelli, davanti allo sguardo della Vergine della Carità del Cobre, desidero fare un appello perché diate nuovo vigore alla vostra fede, viviate di Cristo e per Cristo, e, con le armi della pace, del perdono e della comprensione, vi impegnate a costruire una società aperta e rinnovata, una società migliore, più degna dell’uomo, che rifletta maggiormente la bontà di Dio. Amen. (Santiago, 26 marzo 2012)
Benedetto sia Dio che ci riunisce in questa piazza emblematica, affinché ci immergiamo più profondamente nella sua vita. Provo una grande gioia nell’essere oggi tra voi e presiedere questa Santa Messa nel cuore di questo Anno giubilare dedicato alla Vergine della Carità del Cobre...
Inoltre, la verità sull'uomo è un presupposto ineludibile per raggiungere la libertà, perché in essa scopriamo i fondamenti di un'etica con la quale tutti possono confrontarsi e che contiene formulazioni chiare e precise sulla vita e la morte, i doveri ed i diritti, il matrimonio, la famiglia e la società, in definitiva, sulla dignità inviolabile dell'essere umano. Questo patrimonio etico è quello che può avvicinare tutte le culture, i popoli e le religioni, le autorità e i cittadini, e i cittadini tra loro, e i credenti in Cristo con coloro che non credono in Lui...
Il Cristianesimo, ponendo in risalto i valori che sostengono l'etica, non impone, ma propone l'invito di Cristo a conoscere la verità che rende liberi. Il credente è chiamato a rivolgerlo ai suoi contemporanei, come lo fece il Signore, anche davanti all’oscuro presagio del rifiuto e della Croce. L'incontro personale con Colui che è la verità in persona ci spinge a condividere questo tesoro con gli altri, specialmente con la testimonianza...
Con la ferma convinzione che Cristo è la vera misura dell'uomo, e sapendo che in Lui si trova la forza necessaria per affrontare ogni prova, desidero annunciarvi apertamente il Signore Gesù come Via, Verità e Vita. In Lui tutti troveranno la piena libertà, la luce per capire in profondità la realtà e trasformarla con il potere rinnovatore dell'amore...
La Chiesa vive per rendere partecipi gli altri dell’unica cosa che possiede, e che non è altro che Cristo stesso, speranza della gloria (cfr Col 1,27). Per poter svolgere questo compito, essa deve contare sull'essenziale libertà religiosa, che consiste nel poter proclamare e celebrare anche pubblicamente la fede, portando il messaggio di amore, di riconciliazione e di pace, che Gesù portò al mondo. E’ da riconoscere con gioia che sono stati fatti passi in Cuba affinché la Chiesa compia la sua ineludibile missione di annunciare pubblicamente ed apertamente la sua fede. Tuttavia, è necessario proseguire, e desidero incoraggiare le autorità governative della Nazione a rafforzare quanto già raggiunto ed a proseguire in questo cammino di genuino servizio al bene comune di tutta la società cubana...
Cuba ed il mondo hanno bisogno di cambiamenti, ma questi ci saranno solo se ognuno è nella condizione di interrogarsi sulla verità e si decide a intraprendere il cammino dell'amore, seminando riconciliazione e fraternità. (Avana 28 marzo 2012).
20 novembre 2022
Cosa hanno in comune un grande sportivo del passato e un medico argentino diventato guerrigliero? Apparentemente nulla, eppure dopo aver analizzato personalità così diverse tra loro sono rimasto stupito nello scoprire cosi tante analogie che si intrecciano tra loro in un reticolato di ricordi, un puzzle di immagini e anedotti che riaffiorano nella memoria e che si ricompongono in un affresco carico di nostalgia.
I nostri "gemelli diversi" sono Gigi Riva detto “Rombo di Tuono”, professione calciatore e rivoluzionario della pedata, ed Ernesto Guevara detto “El Che”, medico argentino, viaggiatore e studioso insaziabile, rivoluzionario armato di fucile ed utopia.
Due personalità che tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso si sono abbattute sull'immaginario collettivo con la potenza delle loro imprese eroiche e impossibili. Così diversi eppure così simili tra loro, seducenti guasconi di un romanzo picaresco dove l'unica regola scritta è che non esistono regole.
Gigi nasce il 7 novembre del 1944 a Leggiuno un piccolo paese nella provincia di Varese e la sua è una infanzia difficile segnata dalla morte prematura dei genitori e da un periodo oscuro trascorso in collegio.
Ernesto è più grande di Gigi di quasi venti anni essendo nato a Rosario in Argentina il 14 giugno del 1928. Anche l'infanzia di Ernesto è attraversata dalla sofferenza a causa dell'asma che lo affligge dalla nascita e che lo costringerà a continui spostamenti in cerca di un luogo con un clima adatto alle sue necessità di salute. Anche l'ambiente familiare in cui crebbe, seppur circondato dall'amore della madre e dei suoi numerosi fratelli, non gli offrirà la serenità di cui aveva bisogno. I comportamenti di un padre poco presente ed affidabile portarono infatti alla rottura dell'unione con la sua amata madre causando ultreriore inquietudine e sofferenza al giovane Ernesto.
Entrambi frequentavano campetti mal ridotti dove Gigi sfogava tutta la sua rabbia tirando pedate terrificanti al pallone e dove Ernesto alternandosi tra calcio e rugby si opponeva con coraggio e determinazione a quella malattia che voleva togliergli il respiro.
Poi, per un comune disegno del destino, accadde che Gigi ed Ernesto quando erano poco più che ragazzi abbandonarono la terra in cui erano nati per legare indissolubilmente le loro esistenze a quelle di due isole lontane e per molti aspetti a loro sconosciute.
Gigi già da giovanissimo aveva dimostrato di possedere un talento straordinario. Aveva preso a calci in culo quella vita che sembrava avercela con lui e ben presto quel ragazzone taciturno dopo aver giocato in categorie minori finì con l'attirare su di se l'interesse di club di serie A e serie B e tra questi la spuntò sorprendentemente il Cagliari che offri la cifra raguardevole di 37 milioni di lire per strapparlo alla concorrenza. Siamo nel 1963 e il Cagliari dell'ambizioso presidente Arrica disputava il campionato di serie B. Gigi non del tutto entusiasta lasciò il Legnano in cui militava in serie C per trasferirsi in Sardegna.
Anche il giovane Ernesto di professione girovago tuttofare con aspirazioni scientifico-rivoluzionarie, dopo aver percorso in lungo e in largo gran parte dell'America Latina approdò nell'isola di Cuba, una terra che non conosceva e che non aveva attraversato e che solo una serie di circostanze gliela aveva fatta incontrare.
Gigi non conosceva la Sardegna e quel po' che sapeva non gli piaceva. La immaginava come una terra lontana ed ostile abitata da predoni, banditi e pecorai. Come lui stesso ha raccontato pensava di fare subito rientro nella sua Lombardia o al massimo di fermarsi per qualche anno, maturare come atleta e come uomo per poi spiccare il volo verso altri lidi. Una volta messo piede in Sardegna se ne innamorò a tal punto da non lasciarla mai più finendo con l'incarnare di quell'isola tutte le sue caratteristiche peculiari: la testardaggine, l'orgoglio, i silenzi e la forza di una natura selvaggia che in lui si sublimava. La Sardegna diventò per Gigi casa, rifugio, famiglia, successo.
Ernesto dal canto suo aveva vagato per tutta l'America Latina e nel corso di quei viaggi aveva maturato l'esigenza di impegnarsi, anche ricorrendo alla lotta armata, nel cambiamento di una società in cui in pochi sfruttavano una moltitudine ridotta a pura comparsa. Una società divisa, violenta, corrotta e insensibile al destino dei suoi figli più poveri. Il destino, sempre lui, gli fece incontrare in Messico, dove si trovavano in esilio, i fratelli Castro che lo convinsero ad affrontare insieme a loro l'avventura militare e politica più spregiudicata ed illogica della storia moderna: sconfiggere una dittatura, quella di Batista, solida e ben armata e che godeva dell'appoggio di influenti mafiosi italo-americani che gestivano Cuba come fosse un enorme sala da gioco, tra fiumi di dollari, alcol, droga e prostituzione. Ernesto non conosceva Cuba ma finì, grazie alle sue imprese donchisciottesche, con il diventarne il simbolo esaltandone tutto il suo indomito spirito ribelle e il suo coraggio rivoluzionario.
Gigi, a capo di una quindicina di uomini invincibili, divenne l'artefice di una impresa sportiva straordinaria: dopo aver contribuito con i suoi gol a far salire il Cagliari per la prima volta in serie A nel 1964 lo guidò alla conquista dello storico scudetto nel 1970.
Per la prima volta il campionato di calcio italiano scendeva sotto la linea di demarcazione tracciata dai poteri del nord. Una rivoluzione sportiva e sociale che mutò la percezione della Sardegna non solo a livello nazionale ma anche in campo internazionale spalancando la porta dell'isola alla sua millenaria cultura e alle sue meraviglie paesaggistiche. Come disse il grande giornalista Gianni Brera con Gigi Riva la Sardegna entrò definitivamente in Italia.
Ernesto partì da Tuxpan in Messico la notte del 25 novembre del 1956 a bordo del Granma, un vecchio yacht di fabbricazione statunitense, affrontando le onde di un mare sconosciuto e crudele. Sul Granma si imbarcarono in 82. Dopo aver compiuto un viaggio terribile a causa delle condizioni avverse del mare, ormai stremati e debilitati non appena raggiunsero le coste cubane furono accolti da una pioggia di fuoco dall'esercito di Batista giunto sul luogo dello sbarco su indicazioni ricevute da qualche traditore. Fu una strage, di loro ne sopravvisse solo una dozzina, poco più di una squadra di calcio. Un manipolo di uomini affamati e male equipaggiati che ebbe la forza e la determinazione di riorganizzarsi sulla Sierra Maestra dando vita all'ejercito rebelde che da li a poco fu capace di sconfiggere una dittatura spietata ed armata fino ai denti.
Gigi ed Ernesto rinunciarono entrambi al facile successo, alla gloria, al denaro e alle comodità conquistate con le loro imprese. Gigi non ascoltò le sirene dei grandi club che offrendogli a più riprese contratti milionari tentarono di strapparlo alla "Sua Isola". Gigi rimase per sempre fedele alla sua promessa: che per niente al mondo avrebbe abbandonato la Sardegna e il popolo sardo. Anche Ernesto rifiutò la protezione che gli garantiva la "Sua Isola", rinunciò alla sicurezza economica e a quello status politico consolidatosi a livello mondiale che poteva essergli da scudo contro reali pericoli. Ernesto rimase fedele alla promessa fatta a Fidel, quella che, una volta liberata Cuba, avrebbe continuato a combattere in altre terre ovunque ce ne fosse stato bisogno. E così fece andando incontro alla sua morte.
Gigi ed Ernesto, testardi e determinati. Giovani e belli, desiderati ed ammirati. Gigi con la sua testa di capelli ricci e i lineamenti scolpiti nella roccia che lo rendevano simile ad un eroe della mitologia greca ed Ernesto con la sua cascata di capelli arruffati alla moda di certi divi della musica rock, lo sguardo intenso e il sorriso accattivante. Entrambi con la stessa espressione malinconica e fiera. Cercati ed inseguiti dai fotografi per il loro indiscutibile fascino ed immortalati più volte tra nuvole di fumo: le immancabili sigarette di Gigi e i sigari di Ernesto. Entrambi catturati negli scatti con la comune passione per il mare: Ernesto a pesca con Fidel nei mari caraibici e Gigi tra gli amici pescatori nel Golfo degli Angeli.
E altre immagini sembrano sovrapporsi nei ricordi: quella di Gigi steso nel letto di un ospedale con la gamba ingessata dopo uno dei suoi gravi infortuni e quella di Ernesto con il braccio ferito appeso al collo mentre impavido guidava la conquista di Santa Clara. Nessuno avrebbe potuto fermarli. E poi ancora altri scatti con l'occhio della fotocamera capace di fissare la moltitudine di persone che accorsero da ogni angolo della Sardegna per festeggiare le imprese di Gigi, stipati nelle macchine, accalcati nelle piazze e lungo le strade, arrampicati sulle cime degli alberi. Erano accorsi in migliaia per vedere anche solo da lontano il volto del loro eroe. Era il 12 aprile del 1970, il Cagliari era diventato Campione d'Italia!
La stessa moltitudine che sulla Sierra Maestra si era unita a quell'esercito improvvisato guidato da quello spavaldo medico argentino che da li a poco sarebbe diventato per sempre il loro Comandante. Solo qualche anno dopo una folla festante sarebbe accorsa lungo le strade di Santiago e di Santa Clara per poi accoglierlo vittorioso il 2 gennaio del 1959 nelle piazze dell'Avana, aggrappata ai suoi balconi coloniali o sugli antichi lampioni per poter vedere anche solo da lontano quel giovane straniero che si era fatto cubano nel sangue così come Gigi era diventato il più sardo tra i sardi.
Gigi e Ernesto, stranieri in una terra lontana, erano riusciti attraverso le loro imprese a farsi amare e a condurre al riscatto sociale una intera popolazione che in loro si identificava.
Gigi lasciò il calcio giocato nel 1976 a soli 32 anni con le gambe distrutte dai colpi inflitti da avversari spietati e tradito dai troppi infortuni che non gli lasciarono scampo. Ernesto morì in Bolivia nel 1967 a soli 39 anni tradito a sua volta dalla stessa gente per le quale aveva deciso di combattere, inginocchiandosi alla morte solo dopo che pallottole nemiche gli avevano spappolato le gambe. Gigi ed Ernesto già eroi in vita diventarono miti il giorno dopo la loro “caduta”. E da allora le loro foto son custodite nei cassetti, appese ai muri e venerate come immagini di santi moderni. Gianni Brera usando una espressione spagnola che racchiudeva tutta la grandezza di Gigi Riva lo definì l'ultimo “Hombre Vertical” mentre Ernesto Guevara, per tutti ormai semplicemente “El Che”, incarnò per sempre il modello di “Hombre Nuevo”, il Guerrillero Heroico. Gigi ed Ernesto simboli indiscussi di una integrità morale inattacabile al di là delle passioni calcistiche o politiche che ciascuno di noi può avere.
(12 aprile 1970 Gigi conquista lo storico scudetto con il Cagliari - foto web)
Gigi ed Ernesto non si incontrarono mai e chissà se l'uno fosse a conoscenza dell'esistenza dell'altro o se provassero reciproca simpatia o ammirazione. Gigi con la sua irruenza mi ha trascinato alla passione per il calcio. Quando ero piccolo mi sforzavo di calciare con il sinistro per assomigliare a lui durante le partite a calcio tra gli amici. Sulla mia prima maglietta da gioco mi cucìì con mani incerte un numero 11 di plastica e poco importa se il suo colore fosse viola e non rossoblù come i colori del Cagliari. Grazie a Gigi ho amato il calcio e la Sardegna in tutte le sue rughe millenarie. Grazie ad Ernesto ho conosciuto Cuba, la sua storia controversa e la sua epica Revolucion. La curiosità mi ha spinto a leggere decine di libri ad appassionarmi alla musica e alla letteratura cubana e ad imparare persino qualche passo di salsa! Ho viaggiato spesso oltre Oceano e l'esperienza maturata mi ha ispirato alla realizzazione di un romanzo che non è solo la narrazione di un viaggio ma è l'elaborazione di un percorso ancora più complesso, quello che ciascuno di noi percorre in solitudine nel labirinto della propria anima, un cammino consumato tra gioie e dolori, tra successi e sogni sospesi o irrealizzati. Raccontare questo viaggio è stato come espormi nudo difronte al giudizio di amici o di perfetti sconosciuti e l'ho fatto sempre con una buona dose di pudore e timidezza, spesso con vergogna e fragilità ma nel rispetto della verità. Una sfida che mi ha arricchito umanamente in maniera del tutto inattesa abbattendo muri di icomunicabilità e luoghi comuni. Ho avvertito la piacevole sensazione di aver prestato le mie parole ad altre persone incapaci di raccontarsi ma che in quelle parole e in quei racconti si rispecchiavano e questo mi ha procurato un conforto assoluto. Raccontarmi è stata la miglior seduta di psicanalisi che avessi potuto desiderare!
Gigi ed Ernesto non si sono mai conosciuti ma a loro insaputa si sono presi per mano ed hanno percorso insieme un tratto importante nella mia vita e questo incontro ho provato a raccontarvelo in queste righe. Come avete potuto intendere tante analogie accompagnano le loro vite. La stessa grandezza e la stessa fragilità. La solitudine dei numeri uno. L'abbandono e il tradimento per Ernesto, la gloria e la depressione per Gigi.
(Rombo di Tuono - foto web)
In un'altra occasione il grande giornalista Gianni Brera dedicò mirabili parole al campione ferito. Era il primo febbraio del 1976 l'ultima partita di Gigi con il Cagliari e della sua furibonda carriera.
"L’uomo Riva è un serio esempio per tutti. Il giocatore chiamato Rombo di Tuono è stato rapito in cielo, come tocca agli eroi. Ne può discendere solo per prodigio: purtroppo la giovinezza, che ai prodigi dispone e prepara, ahi, giovinezza è spenta."
Gigi ed Ernesto i miei super eroi di un mondo romantico e sognatore che forse non tornerà mai più.
9 ottobre 2022
Ha scelto un addio improvviso, a riflettori spenti, lontano dalla terra che lo ha visto nascere e diventare uomo all'ombra di un padre famoso. Se ne è andato come ha vissuto: in maniera schiva e senza privilegi. Quando suo padre Ernesto morì in Bolivia nell'ottobre del 1967 Camilo aveva poco più di quattro anni e solo in sporadiche occasioni aveva potuto gioire dell'abbraccio del genitore. Forse è stata proprio la mancanza di questo legame filiare che ha spinto Camilo a dedicare tutta la sua breve esistenza nel promuovere freneticamente la conoscenza della vita e del pensiero del Guerrillero Heroico.
Camilo era nato all'Avana il 20 maggio del 1962 secondo genito dei quattro figli nati dalla unione tra Ernesto Guevara e Aleida March. Gli altri sono Aleida, Celia ed Ernesto. Camilo aveva anche un'altra sorella, Hilda Beatriz anch'essa morta prematuramente nel 1995, nata dal primo matrimonio del padre con la peruviana Hilda Gadea. Il suo nome è il sigillo del grande legame di amicizia che legava suo padre a Camilo Cienfuegos uno dei protagonisti indiscussi della rivoluzione cubana, combattente amatissimo dal popolo e scomparso in circostanze non del tutto chiare in un incidente aereo nel 1959 mentre sorvolava lo stretto della Florida.
Laureatosi in Diritto del Lavoro, Camilo era il direttore del Centro Studi Che Guevara all'Avana. Ha dedicato la sua esistenza nel ripercorrere la vicenda umana del padre impegnandosi in una ricerca spasmodica di testimonianze e scritti che ha raccolto e catalogato perchè nulla andasse perduto. Ha viaggiato in lungo e in largo con l'intento di promuovere la conoscenza del Che per mantenerne vivo il ricordo e l'opera.
Camilo Guevara è morto il 29 agosto del 2022 a Caracas, capitale del Venezuela, stroncato da un infarto causato da un embolo polmonare che non gli ha dato scampo. Come accaduto in precedenza per suo padre in tanti hanno pianto per la sua l'improvvisa scomparsa mentre altri, tra gli irriducibili anticastristi, avranno sicuramente gioito per la sua morte. La storia ci divide. Lo ha sempre fatto contrapponendo da una parte i vinti e dall'altra i vincitori. Ci divide in modo doloroso, spesso spietato, privandoci finanche di quella seppur minima fiammella di pietà umana e di obbiettività per poter giudicare con maggior serenità fatti e persone. Amore e odio si rincorrono da sempre sugli stessi binari. Sono facce contrapposte della stessa medaglia.
Camillo nei suoi numerosi viaggi si è fermato spesso anche in Italia donandosi generosamente alla curiosità e all'interesse di chi ha voluto conoscerlo. Ha portato sulle spalle il peso di un cognome ingombrante, lo ha fatto con coraggio e dedizione assoluta. Di fronte alla morte spesso basterebbe il silenzio.
Sono coetaneo di Camilo. Diversi anni fa all'Avana mi si era presentata l'opportunità di conoscerlo personalmente ma poi non se ne fece più nulla. Mi sono rimaste delle domande strozzate in gola. Domande che con il passare degli anni si sono arricchite di spunti di riflessione. La Cuba sognata da suo padre come modello di una società più giusta e libera si è forse dissolta definitivamente in una infinità di contraddizioni e disillusioni e credo che Camilo fosse abbastanza intelligente per essersene accorto da solo.
Cosa gli avrei chiesto allora?
Sicuramente gli avrei chiesto se da figlio avesse preferito al padre "eroico” uno più presente nella sua vita per poter condividere con lui l'utopia di una America Latina unita e vederlo poi invecchiare magari un po' più cicciottello e senza la folta chioma; un padre che alternasse al suo gran senso di responsabilità l'affetto per i propri figli.
Gli avrei chiesto cosa ne pensasse realmente della morte del padre in Bolivia e di quella “misteriosa” del suo amico Camilo, se veramente anche lui credesse alla casualità dei fatti o se le circostanze che le avevano determinate fossero state in certo senso pilotate e alla fine silenziosamente gradite sia agli americani che ai russi, impegnati a gettare acqua sul fuoco in una guerra fredda che aveva corso il rischio durante la crisi dei missili di Cuba di trascinare il mondo nell'apocalisse atomica e che anche una parte della leadership cubana, a partire da i fratelli Castro, avesse tratto beneficio dalla scomparsa di quel personaggio scomodo e irrefrenabile che poi ad arte avrebbero trasformato in un mito cementando in tutto il mondo il ruolo centrale di Cuba.
Gli avrei chiesto cosa pensasse di un mondo che aveva trasformato il padre in un gadget da bancarella dimenticandone in gran parte gli ideali e il sacrificio umano.
Gli avrei chiesto poi che opinione avesse sulle carceri cubane affollate di prigionieri politici, della crisi alimentare che sta investendo l'Isola, della potenza medica che scricchiola per la perenne carenza di medicinali. Gli avrei chiesto una riflessione sulle proteste di piazza di questi giorni e della reazione scomposta e violenta di uno stato che invece di porgere l'orecchio alle richieste di un popolo lo maltratta e bastona ad ogni circostanza. Gli avrei chiesto perchè dopo più di mezzo secolo dal successo della rivoluzione l'economia cubana ristagni ancora nelle paludi di una burocrazia asfissiante che paralizza ogni tipo di impenditoria e che espone l'Isola intera alla vergogna di dovere sempre attendere l'elemosina di paesi amici che poi alla fine proprio amici non lo sono mai stati.
Gli avrei chiesto infine cosa ne pensasse delle migliaia di cubani che ogni hanno fuggono da una terra bellissima e disperata in cerca di una vita dignitosa che la propria terra non riesce più a garantire. Chissà quali risposte mi avrebbe dat Camilo e se lo avesse fatto con la stessa risolutezza del padre o abbandonandosi a considerazioni più malinconiche ed intime. Non lo saprò mai. Oggi 9 ottobre si ricorda la morte di Ernesto Guevara detto il Che. Osservo la Cuba di oggi e la vedo così lontana dall'entusiasmo che la travolse nelle giornate eroiche di Santa Clara. Vedo gli sforzi di centinaia di ragazzi che donarono sulla Sierra Maestra la propria vita per un futuro migliore vanificati da un sistema politico che fa sempre più fatica a comprendere le istanze di un popolo stanco di troppe vessazioni. Un sistema politico che reagisce in modo isterico trascinando una isola intera verso una crisi sociale molto simile a quella che precedette la stessa Revolucion. Ho la convinzione, forse dettata da una visione romantica della storia, che se Ernesto Che Guevara e Camilo Cienfuegos fossero ancora vivi la situazione sarebbe stata molto differente. Domande e considerazioni che restano sospese. Chissà cosa mi avrebbe detto Camilo ...
3 luglio 2022
Il 18 giugno si è svolta a Parigi una tappa della Diamond League di atletica leggera una delle più importanti manifestazioni sportive del mondo. In quella occasione si è registrato un sensazionale risultato nella gara di salto triplo dove tre cubani si sono piazzati ai primi tre posti della graduatoria finale. Un risultato sportivo sorprendente ma ancora più sorprendente è il fatto che i tre atleti cubani hanno gareggiato sotto tre diverse bandiere.
Jordan Díaz (l'Avana 2001) che ha vinto la gara con la distanza di 17,66 metri ha ottenuto infatti la nazionalità spagnola a febbraio di quest'anno, gareggia per il Barcellona e detiene il record di Spagna con 17,77 m. Al secondo posto si è piazzato con 17,64 m. il connazionale e quasi omonimo Andy Diaz (l'Avana 1995) che fa parte della squadra italiana Libertas Livorno e che dovrebbe prendere la nostra cittadinanza entro pochi mesi. Infine al terzo posto si è classificato l'altro cubano, campione olimpico di specialità a Tokio 2020, Pedro Pablo Pichardo ( nato a Santiago nel 1993 e recordman sia di Cuba che del Portogallo) che si è fermato alla distanza di 17,49 e compete per il Portogallo di cui ha già acquisito la cittadinanza nel 2017.
Cuba vola in alto con i suoi campioni risultato di una scuola caraibica di prima qualità. Purtroppo l'esodo di campioni dall'Isola sembra non fermarsi più. Ogni giorno si registra qualche defezione in molteplici discipline. Ricordo soltanto che molti peloteros si sono affermati negli Stati Uniti e che nella selezione spagnola di baseball ci sono ben 7 giocatori di origine cubana! Allo stesso tempo la nazionale cubana di beisbol fa fatica a consolidarsi a grandi livelli come ha sempre fatto in passato.
E' un fatto sociale drammatico e che deve portare chi governa il Paese a forti riflessioni. Molti di questi atleti cercano all'estero solo una opportunità per affermarsi considerando che una carriera sportiva si consuma in tempi brevi. Altri lo fanno perchè non si riconoscono più nel traballante sistema politico ed economico del proprio Paese. Io che osservo provo ammirazione per questi atleti (molti di loro sono anche in Italia) ma anche una certa sofferenza per quello che poteva essere e non sarà per Cuba: eccellere a livello mondiale nonostante le mille difficoltà. Dispiace constatare giorno dopo giorno la diaspora del popolo cubano. Un popolo che ha mostrato sempre il suo grande talento in tante discipline (arte, musica, sport) e che dovrebbe avere la opportunità di realizzarsi a casa propria, circondato da quegli affetti in cui in molti casi dovrà rinunciare per sempre.
Cuba vola in alto ma si allontana sempre di più dalla propria gente ...