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"Una notte di 12 anni" un film che squarcia il buio delle coscenze

19 gennaio 2019

Una notte di 12 anni, film 2018
(la locandina del film - foto web)

 

Ho sempre amato il cinema sin da quando ero piccolo. Quanti ricordi riaffiorano improvvisamente! Rivedo ancora quell'anziana signora con il fazzoletto sulla testa e la mani callose che vendeva ceci abbrustoliti e semi di zucca all'esterno di quella sala che presto si sarebbe riempita di fumo che pizzicava gli occhi e impuzzoliva i vestiti. E quella fila per comprare i ghiaccioli a 45 lire che sciogliendosi appiccicavano le dita ancora indecise sul da farsi in quelle ultime fine che delimitavano il confine tra la fanciullezza e la pubertà. In estate poi si aspettava il sabato sera per andare all'Arena seduti su quelle scomode sedie in legno tra zanzare e pipistrelli che svolazzavano sulla testa, l'intervallo per fare pipi e comprare le liquerizie dolci. Che nostalgia! Poi la tecnologia ha trasferito il grande schermo in casa e quella magia è svanita tra vhs, dvd e tv a pagamento. La pigrizia e il divano hanno fatto il resto. Così è trascorso un sacco di tempo dall'ultima volta in cui andai al cinema. Quel giorno vidi “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, un film a tratti spaventoso e difficile da reggere emotivamente. Era il 2004, accidenti quindici anni fa ...

Sarà stato un caso ma il mio ritorno in sala coincide con la visione di un altro film pazzesco, pietrificante, carico di dolore ma anche di speranza: “Una notte di dodici anni”.

Scorrono i minuti e il susseguirsi delle scene mi riportano in dietro mel tempo. Mi sembra di assistere al terzo tempo del film di Gibson. Rivivo nuovamente in assenza di ossigeno il dramma e la crudeltà di quella Passione che sembra non aver fine: duemila anni dopo, quindici, dodici anni … numeri in cui un tempo rarefratto ci consegna una realtà in cui nulla sembra cambiato se non la follia dell'uomo e la sua straordinaria capacità di fare a pezzi i propri simili.

In “Una notte di dodici anni” il regista uruguaiano Álvaro Brechner, che ha scritto anche la sceneggiatura, racconta l'esperienza drammatica di tre giovani leaders Tupamaros, una organizzazione clandestina che, ispirandosi al movimento rivoluzionario cubano “26 Luglio” guidato da Che Guevara e Castro, tentò di opporsi ad un terribile regime militare che si instaurò in Uruguay nei primi anni del 1970. Sconfitti, feriti e catturati i tre vennero sottoposti ad una detenzione spaventosa, fatta di torture fisiche e psicologiche, di vessazioni e umiliazioni, di isolamento, buio e fame in un continuo peregrinare tra carceri orribili, caverne e silos. Il regime decise di non eliminarli ma li mantenne sadicamente in vita incappucciati e ammanettati per mesi interi per condurli lentamente alla pazzia o per essere utilizzati come ostaggi per frenare ogni velleità di chi tentava di opporsi alla sanguinaria dittatura militare. E' un film crudele intriso di sequenze violente che si avvalgono di una fotografia strepitosa e spesso indigesta che spinge lo spettatore a desiderare che i protagonisti vengano assassinati il prima possibile per porre fine al loro insopportabile supplizio. Una moderna Via Crucis che cattura emotivamente lo spettatore e in cui la morte sembra l'unica via d'uscita da quello strazio.

Una notte di 12 anni, film 2018
(dal film, la prigionia di Pepe Mujica - foto web)

La grandezza di questo film sta però nel fatto che non si limita a spettacolizzare la crudeltà umana e la sofferenza ma nel mettere in risalto attraverso una sapiente sceneggiatura la straordinaria capacità dell'uomo di resistere a situazioni estreme afferrandosi a tutto ciò che può tenerlo in vita: i rari frammenti di umanità, i ricordi, le pagine luride di vecchi giornali, le notizie rubate dalle radio dei carcerieri. Un film in cui la speranza non viene mai sconfitta e capace di regalare persino scene comiche. Stando comodamente a sedere si desidera la luce, uno squarcio di sole, il verde di un paesaggio, un bicchere di acqua fresca.

Un supplizio durato dodici anni. Dodici anni, 4383 giorni, come si può resistere così tanto? Non è logico.

In questa storia ho trovato molte analogie con il martirio di Cristo. Innanzi tutto l'età dei prigionieri tutti poco più che trentenni; poi la sequenza che ci mostra una commissione della Croce Rossa incaricata di vigilare sulle condizioni sanitarie dei prigionieri e che invece proprio come fece Ponzio Pilato se ne lavò le mani senza intervenire abbandonano i condannati al loro destino; c'è la figura del sergente buono che allevierà in qualche modo la sofferenza dei tre prigionieri e che ricorda tanto quella di Simone di Cirene che aiuto Gesù a portare la Croce; ci sono i soldati rozzi, bifolchi e assetati di sangue simili ai legionari romani che flagellarono Cristo; ci sono le figure femminili, le pie donne dei Vangeli, che per tutta la durata della prigionia diventano con la loro presenza e con il loro drammatico ricordo l'unico gancio a cui afferrarsi per non sprofondare nella pazzia; e su tutto c'è la splendida figura della mamma di Pepe Mujica che tanto ricorda la Vergine Maria, sempre presente, sempre accostata al dolore del figlio e stretta a lui nel momento della liberazione/risurrezione.

Hecce Homo. Questo è l'Uomo nella sua grandezza ed in tutta la sua folle malvagità.

Cosa ci lascia allora questo film che ha riscosso un grande successo al 75° Festival di Venezia? E' soltanto una splendida opera cinematografica arricchita da una colonna sonora e da una fotografia straordinarie capaci di enfatizzare il dramma dimenticato di quegli anni in cui il buio calò sugli occhi dell'umanità o ci dice qualcos'altro?

Ci ricorda ad esempio come il mondo periodicamente sia attraversato da giganti la cui testimonianza vale più di mille parole. Pepe Mujica poteva continuare a combattere, forse sarebbe morto giovane impugnando un fucile e portando con se l'utopia di un mondo migliore. Sarebbe passato alla storia come un giovane martire o considerato un guerrigliero fallito o il suo nome si sarebbe perduto tra quello di altre migliaia di morti. Non è stato così. La sua vita doveva seguire altre traettorie e il silenzio a cui è stato condannato per dodici lunghi anni si è trasformato in seguito in un grido roboante capace di attraversare negli ultimi decenni oceani e coscenze.

Come già ho raccontato su queste pagine ho avuto la fortuna di incontrare Pepe nell'estate del 2018 ed è stato incredibile pensare come quell'uomo mite, saggio e umile fosse il prodotto di tanta violenza e che i suoi piedi avessero percorso i ciottoli taglienti di quell'infinita Via Crucis.

Il mio carissimo amico Orazio riflettendo alla fine della proiezione si è chiesto: “Perchè Dio mette sulla terra delle persone così? La risposta è banale: perchè possiamo imparare da loro! Però il divario che esiste tra noi è sproporzionato. Posso imparare a dipingere limitandomi a guardare le opere di Michelangelo?”

Eggià … bella domanda!

Non credo che figure come Pepe e i suoi amici debbano essere mitizzate. Non è necessario e neppure ce lo chiedono. La loro vita è li posta come una insegna luminosa nell'oscurità delle coscenze ad indicarci una possibilità in più, un percorso che attraverso la solidarietà, la caparbietà, la sobrietà e il rifiuto del superfluo possa restituire il giusto senso alle cose.

Tornando a casa e pensando alla prigionia di Pepe, ho rivolto lo sguardo all'insù accorgendomi di come fosse bello il cielo stellato, di come fosse piacevole sentire il respiro fresco dell'aria sul viso e di come fossero comode un paio di vecchie scarpe. Ho pensato alla mia casa, a come è bella la consapevolezza di non sentirsi soli e il poter immaginare un domani pieno di sole, di musica e di parole. Tutte cose “banali” che dovrebbero riempirci la vita e le giornate.

Toglierci il cappuccio che noi stessi ci siamo calati sugli occhi è già un modo di cambiare le cose. Partendo da noi stessi.

Tags: Fidel Castro,, Che Guevara,, Rivoluzione cubana,, cinema,, Pepe Mujica,