Chi muore per salvare vite non muore mai
28 marzo 2020

Il 21 marzo sono sbarcati all'aereoporto di Orio al Serio nella provincia della martoriata città di Bergamo 52 tra medici ed infermieri cubani. Questa “brigada de batas blancas” (camici bianchi) è diventata operativa presso l'ospedale da campo realizzato in pochissime ore dall'esercito italiano nella città di Crema. Si tratta di un gruppo di specialisti con alle spalle già diverse missioni in luoghi remoti della terra. In particolare la loro preparazione si è rivelata in passato molto utile nell'affrontare l'emergenza ebola in molti paesi del continente africano. Attualmente si contano diverse migliaia di medici cubani impegnati in missioni internazionaliste. A Crema, dove sono stati accolti con grande emozione e gratitudine, alloggeranno in locali messi a disposizione dalla Diocesi locale e presso un'albergo della città. Quando si è manifestata la necessità di consentire lo spostamento dei medici tra gli alloggi a loro assegnati e l'ospedale di campo si è pensato immediatamente all'utilizzo di biciclette. In poche ore, grazie ad un tam tam spontaneo nato tra la popolazione di Crema e quella dei comuni limitrofi, si sono raccolte una ottantina di biciclette che sono state subito messe a disposizione degli amici cubani.
Alcune testate giornalistiche commentando la notizia hanno riferito erroneamente dell'arrivo di medici volontari mentre altre hanno colto l'occasione per puntare il dito contro il regime cubano ritenuto colpevole di tenere in ostaggio migliaia di medici sfruttati a lor dire per favorire un business legato alla esportazione di servizi professionali.
La verità, come sempre accade, si colloca nel mezzo. Ho avuto nel tempo la fortuna di conoscere medici cubani e con alcuni di loro ho instaurato un forte legame di amicizia. La medicina a Cuba è uno dei capisaldi della rivoluzione e ne sono testimonianza le diverse università sorte sull'isola e volute fortemente dallo stesso Guevara che si avvalse per la loro realizzazione del supporto e delle competenze del suo grande amico il medico argentino Alberto Granado. Dall'inizio degli anni '60 le missioni delle brigate di medici sono divenute il vero avamposto della rivoluzione cubana, il supporto scentifico per esportare l'esperienza cubana in molti paesi del terzo mondo. La novità storica di oggi consiste nel fatto che per la prima volta una brigata diventa operativa nel mondo occidentale. E' vero, i medici arrivati in Italia non sono dei volontari. I Paesi che richiedono la presenza e la collaborazione degli specialisti cubani devono negoziare direttamente con il Ministero della Salute. Raggiunto l'accordo circa il 40% dei compensi finisce nelle tasche dei medici mentre la percentuale restante va direttamente nelle casse dello stato. Bisogna sottolineare però che a Cuba sia l'istruzione che l'assistenza sanitaria sono totalmente gratuite ed accessibili a tutti. Un medico guadagna tra i 30 e i 60 cuc al mese (al cambio un cuc è quotato come un dollaro USA) di conseguenza una missione all'estero può realmente costituire una grossa opportunità economica. Nella mia esperienza personale però non ho mai percepito l'idea del guadagno come l'unica motivazione che sprona ogni anno centinaia di giovani studenti ad intraprendere gli studi universitari ed in particolare quelli di medicina. Per trenta cuc al mese forse non ne varrebbe veramente la pena. C'è qualcosa di romantico che serve da molla, qualcosa che per noi occidentali è difficile da capire. C'è un amore per la professione, c'è un attaccamento alla Patria e alla bandiera, c'è un senso di appartenenza ad una esperienza rivoluzionaria che ancora oggi stimola e incoraggia scelte coraggiose. La Cuba rivoluzionaria nei sessant'anni della sua esperienza politica e sociale ha esportato nel terzo mondo soldati e medici. Molti giovani sono morti impugnando il fucile, altri indossando il camice bianco. Due aspetti probabilmente contradittori della visione utopistica di fraternità internazionale tra i paesi socialisti sognata dal Che. Mi permetto una ultima considerazione: sappiamo tutti come molte nazioni si arricchiscono attraverso il mercato delle armi piuttosto che con la produzione di mine anti-uomo o il traffico di droga. Per questo non ritengo opportuno porre sullo loro stesso piano di giudizio un business, seppur altamente redditizio, basato sulla cultura e la conoscenza scientifica.
Infine ho scelto due foto per corredare questo articolo: una è di Ruben Carballo Herrera un paramedico cubano membro della spedizione in Italia e l'altra è del medico italiano Giampiero Giron. Due nomi che senz'altro non ci dicono nulla ma che ci spiegano molto sull'importanza di vivere la propria professione come fosse la più importante tra le missioni.

Ho trovato sui social la bella testimonianza di un fotografo cubano che si era recato all'aereoporto dell'Avana per immortalare e salutare la partenza della brigata medica per l'Italia. Tra le batas blancas gli parve di riconobbere un volto, forse incrociato in una delle precedenti missioni in Africa.
“Cosa fai qui?” chiese Ruben al fotografo
“E' quello che chiedo io a te amico! Vai di nuovo a sfidare la morte?”
E Ruben rispose con la serenità tipica degli eroi inconsapevoli di esserlo:
“Parto per l'Italia, ma non ti preoccupare perchè ritorneremo e continueremo a lottare per la vita”.
E mentre le note dell'inno cubano accompagnavano la marcia di quel plotone di medici Ruben si girò nuovamente verso il fotografo e gli disse:
“Ti ricordi cosa mi hai detto quella volta? Con dos cojones, Viva Cuba!”
E in un'altra intervista un medico della medesima spedizione ha cosi risposto ad una domanda sul perchè di quella partenza così rischiosa:
“Non dobbiamo dimostrare niente a nessuno però desideriamo che il mondo sappia chi siamo.
Siamo medici cubani e siamo in prima linea per combattere il COVID19. Lo facciamo per amore della professione, lo facciamo per convinzione personale, lo facciamo perchè siamo cubani, perchè amiamo la vita, lo facciamo perchè abbiamo voglia di farlo, lo facciamo perchè abbiamo le palle, lo facciamo semplicemente per questo significa affermare il concetto di Patria o Muerte, ma lo facciamo principalmente perchè tutti sappiano che alla fine Venceremos!
Complicato da intenderlo è vero? E allora vi voglio confondere ulteriormente le idee con la breve storia di Giampiero Giron (si proprio così ...come playa Giron, il luogo della disfatta dei controrivoluzionari nella battaglia fratricida del 17 aprile del 1961, la Baia dei Porci ...).

Nei giorni scorsi in piena emergenza sanitaria lo Stato italiano ha lanciato un appello per sopperire alla necessità di almeno 300 medici da inviare nei territori più colpiti dall'epidemia da coronavirus. Come sappiamo ben 8.000 persone hanno risposto generosamente a questo invito. Tra loro giovani neo laurati e medici già in pensione. Uno di loro che ha risposto presente è Giampiero, un medico di 85 anni dal volto di nonno buono.
"Mi hanno chiesto la mia disponibilità e ho detto di si. Quando ho deciso di essere medico nella mia vita l'ho scelto per sempre. Ho fatto un giuramento. Paura di ammalarmi? No. Allora era meglio se non avessi fatto il medico”.
Ruben y Gilberto, eroi comuni. Volti buoni e generosi in questa epoca di sfide.
Alla gente come voi dovremmo essere grati per sempre.
Hasta la victoria! Ce la faremo.
Tags: medicina,, medicina cubana,, Che Guevara,, Alberto Granado,, coronavirus,