Gigi Riva ed Ernesto Guevara due eroi così diversi e così simili tra loro
20 novembre 2022
Cosa hanno in comune un grande sportivo del passato e un medico argentino diventato guerrigliero? Apparentemente nulla, eppure dopo aver analizzato personalità così diverse tra loro sono rimasto stupito nello scoprire cosi tante analogie che si intrecciano tra loro in un reticolato di ricordi, un puzzle di immagini e anedotti che riaffiorano nella memoria e che si ricompongono in un affresco carico di nostalgia.
I nostri "gemelli diversi" sono Gigi Riva detto “Rombo di Tuono”, professione calciatore e rivoluzionario della pedata, ed Ernesto Guevara detto “El Che”, medico argentino, viaggiatore e studioso insaziabile, rivoluzionario armato di fucile ed utopia.
Due personalità che tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso si sono abbattute sull'immaginario collettivo con la potenza delle loro imprese eroiche e impossibili. Così diversi eppure così simili tra loro, seducenti guasconi di un romanzo picaresco dove l'unica regola scritta è che non esistono regole.

Gigi nasce il 7 novembre del 1944 a Leggiuno un piccolo paese nella provincia di Varese e la sua è una infanzia difficile segnata dalla morte prematura dei genitori e da un periodo oscuro trascorso in collegio.
Ernesto è più grande di Gigi di quasi venti anni essendo nato a Rosario in Argentina il 14 giugno del 1928. Anche l'infanzia di Ernesto è attraversata dalla sofferenza a causa dell'asma che lo affligge dalla nascita e che lo costringerà a continui spostamenti in cerca di un luogo con un clima adatto alle sue necessità di salute. Anche l'ambiente familiare in cui crebbe, seppur circondato dall'amore della madre e dei suoi numerosi fratelli, non gli offrirà la serenità di cui aveva bisogno. I comportamenti di un padre poco presente ed affidabile portarono infatti alla rottura dell'unione con la sua amata madre causando ultreriore inquietudine e sofferenza al giovane Ernesto.
Entrambi frequentavano campetti mal ridotti dove Gigi sfogava tutta la sua rabbia tirando pedate terrificanti al pallone e dove Ernesto alternandosi tra calcio e rugby si opponeva con coraggio e determinazione a quella malattia che voleva togliergli il respiro.
Poi, per un comune disegno del destino, accadde che Gigi ed Ernesto quando erano poco più che ragazzi abbandonarono la terra in cui erano nati per legare indissolubilmente le loro esistenze a quelle di due isole lontane e per molti aspetti a loro sconosciute.
Gigi già da giovanissimo aveva dimostrato di possedere un talento straordinario. Aveva preso a calci in culo quella vita che sembrava avercela con lui e ben presto quel ragazzone taciturno dopo aver giocato in categorie minori finì con l'attirare su di se l'interesse di club di serie A e serie B e tra questi la spuntò sorprendentemente il Cagliari che offri la cifra raguardevole di 37 milioni di lire per strapparlo alla concorrenza. Siamo nel 1963 e il Cagliari dell'ambizioso presidente Arrica disputava il campionato di serie B. Gigi non del tutto entusiasta lasciò il Legnano in cui militava in serie C per trasferirsi in Sardegna.
Anche il giovane Ernesto di professione girovago tuttofare con aspirazioni scientifico-rivoluzionarie, dopo aver percorso in lungo e in largo gran parte dell'America Latina approdò nell'isola di Cuba, una terra che non conosceva e che non aveva attraversato e che solo una serie di circostanze gliela aveva fatta incontrare.
Gigi non conosceva la Sardegna e quel po' che sapeva non gli piaceva. La immaginava come una terra lontana ed ostile abitata da predoni, banditi e pecorai. Come lui stesso ha raccontato pensava di fare subito rientro nella sua Lombardia o al massimo di fermarsi per qualche anno, maturare come atleta e come uomo per poi spiccare il volo verso altri lidi. Una volta messo piede in Sardegna se ne innamorò a tal punto da non lasciarla mai più finendo con l'incarnare di quell'isola tutte le sue caratteristiche peculiari: la testardaggine, l'orgoglio, i silenzi e la forza di una natura selvaggia che in lui si sublimava. La Sardegna diventò per Gigi casa, rifugio, famiglia, successo.
Ernesto dal canto suo aveva vagato per tutta l'America Latina e nel corso di quei viaggi aveva maturato l'esigenza di impegnarsi, anche ricorrendo alla lotta armata, nel cambiamento di una società in cui in pochi sfruttavano una moltitudine ridotta a pura comparsa. Una società divisa, violenta, corrotta e insensibile al destino dei suoi figli più poveri. Il destino, sempre lui, gli fece incontrare in Messico, dove si trovavano in esilio, i fratelli Castro che lo convinsero ad affrontare insieme a loro l'avventura militare e politica più spregiudicata ed illogica della storia moderna: sconfiggere una dittatura, quella di Batista, solida e ben armata e che godeva dell'appoggio di influenti mafiosi italo-americani che gestivano Cuba come fosse un enorme sala da gioco, tra fiumi di dollari, alcol, droga e prostituzione. Ernesto non conosceva Cuba ma finì, grazie alle sue imprese donchisciottesche, con il diventarne il simbolo esaltandone tutto il suo indomito spirito ribelle e il suo coraggio rivoluzionario.
Gigi, a capo di una quindicina di uomini invincibili, divenne l'artefice di una impresa sportiva straordinaria: dopo aver contribuito con i suoi gol a far salire il Cagliari per la prima volta in serie A nel 1964 lo guidò alla conquista dello storico scudetto nel 1970.

Per la prima volta il campionato di calcio italiano scendeva sotto la linea di demarcazione tracciata dai poteri del nord. Una rivoluzione sportiva e sociale che mutò la percezione della Sardegna non solo a livello nazionale ma anche in campo internazionale spalancando la porta dell'isola alla sua millenaria cultura e alle sue meraviglie paesaggistiche. Come disse il grande giornalista Gianni Brera con Gigi Riva la Sardegna entrò definitivamente in Italia.
Ernesto partì da Tuxpan in Messico la notte del 25 novembre del 1956 a bordo del Granma, un vecchio yacht di fabbricazione statunitense, affrontando le onde di un mare sconosciuto e crudele. Sul Granma si imbarcarono in 82. Dopo aver compiuto un viaggio terribile a causa delle condizioni avverse del mare, ormai stremati e debilitati non appena raggiunsero le coste cubane furono accolti da una pioggia di fuoco dall'esercito di Batista giunto sul luogo dello sbarco su indicazioni ricevute da qualche traditore. Fu una strage, di loro ne sopravvisse solo una dozzina, poco più di una squadra di calcio. Un manipolo di uomini affamati e male equipaggiati che ebbe la forza e la determinazione di riorganizzarsi sulla Sierra Maestra dando vita all'ejercito rebelde che da li a poco fu capace di sconfiggere una dittatura spietata ed armata fino ai denti.
Gigi ed Ernesto rinunciarono entrambi al facile successo, alla gloria, al denaro e alle comodità conquistate con le loro imprese. Gigi non ascoltò le sirene dei grandi club che offrendogli a più riprese contratti milionari tentarono di strapparlo alla "Sua Isola". Gigi rimase per sempre fedele alla sua promessa: che per niente al mondo avrebbe abbandonato la Sardegna e il popolo sardo. Anche Ernesto rifiutò la protezione che gli garantiva la "Sua Isola", rinunciò alla sicurezza economica e a quello status politico consolidatosi a livello mondiale che poteva essergli da scudo contro reali pericoli. Ernesto rimase fedele alla promessa fatta a Fidel, quella che, una volta liberata Cuba, avrebbe continuato a combattere in altre terre ovunque ce ne fosse stato bisogno. E così fece andando incontro alla sua morte.

Gigi ed Ernesto, testardi e determinati. Giovani e belli, desiderati ed ammirati. Gigi con la sua testa di capelli ricci e i lineamenti scolpiti nella roccia che lo rendevano simile ad un eroe della mitologia greca ed Ernesto con la sua cascata di capelli arruffati alla moda di certi divi della musica rock, lo sguardo intenso e il sorriso accattivante. Entrambi con la stessa espressione malinconica e fiera. Cercati ed inseguiti dai fotografi per il loro indiscutibile fascino ed immortalati più volte tra nuvole di fumo: le immancabili sigarette di Gigi e i sigari di Ernesto. Entrambi catturati negli scatti con la comune passione per il mare: Ernesto a pesca con Fidel nei mari caraibici e Gigi tra gli amici pescatori nel Golfo degli Angeli.

E altre immagini sembrano sovrapporsi nei ricordi: quella di Gigi steso nel letto di un ospedale con la gamba ingessata dopo uno dei suoi gravi infortuni e quella di Ernesto con il braccio ferito appeso al collo mentre impavido guidava la conquista di Santa Clara. Nessuno avrebbe potuto fermarli. E poi ancora altri scatti con l'occhio della fotocamera capace di fissare la moltitudine di persone che accorsero da ogni angolo della Sardegna per festeggiare le imprese di Gigi, stipati nelle macchine, accalcati nelle piazze e lungo le strade, arrampicati sulle cime degli alberi. Erano accorsi in migliaia per vedere anche solo da lontano il volto del loro eroe. Era il 12 aprile del 1970, il Cagliari era diventato Campione d'Italia!


La stessa moltitudine che sulla Sierra Maestra si era unita a quell'esercito improvvisato guidato da quello spavaldo medico argentino che da li a poco sarebbe diventato per sempre il loro Comandante. Solo qualche anno dopo una folla festante sarebbe accorsa lungo le strade di Santiago e di Santa Clara per poi accoglierlo vittorioso il 2 gennaio del 1959 nelle piazze dell'Avana, aggrappata ai suoi balconi coloniali o sugli antichi lampioni per poter vedere anche solo da lontano quel giovane straniero che si era fatto cubano nel sangue così come Gigi era diventato il più sardo tra i sardi.


Gigi e Ernesto, stranieri in una terra lontana, erano riusciti attraverso le loro imprese a farsi amare e a condurre al riscatto sociale una intera popolazione che in loro si identificava.
Gigi lasciò il calcio giocato nel 1976 a soli 32 anni con le gambe distrutte dai colpi inflitti da avversari spietati e tradito dai troppi infortuni che non gli lasciarono scampo. Ernesto morì in Bolivia nel 1967 a soli 39 anni tradito a sua volta dalla stessa gente per le quale aveva deciso di combattere, inginocchiandosi alla morte solo dopo che pallottole nemiche gli avevano spappolato le gambe. Gigi ed Ernesto già eroi in vita diventarono miti il giorno dopo la loro “caduta”. E da allora le loro foto son custodite nei cassetti, appese ai muri e venerate come immagini di santi moderni. Gianni Brera usando una espressione spagnola che racchiudeva tutta la grandezza di Gigi Riva lo definì l'ultimo “Hombre Vertical” mentre Ernesto Guevara, per tutti ormai semplicemente “El Che”, incarnò per sempre il modello di “Hombre Nuevo”, il Guerrillero Heroico. Gigi ed Ernesto simboli indiscussi di una integrità morale inattacabile al di là delle passioni calcistiche o politiche che ciascuno di noi può avere.
(12 aprile 1970 Gigi conquista lo storico scudetto con il Cagliari - foto web)
Gigi ed Ernesto non si incontrarono mai e chissà se l'uno fosse a conoscenza dell'esistenza dell'altro o se provassero reciproca simpatia o ammirazione. Gigi con la sua irruenza mi ha trascinato alla passione per il calcio. Quando ero piccolo mi sforzavo di calciare con il sinistro per assomigliare a lui durante le partite a calcio tra gli amici. Sulla mia prima maglietta da gioco mi cucìì con mani incerte un numero 11 di plastica e poco importa se il suo colore fosse viola e non rossoblù come i colori del Cagliari. Grazie a Gigi ho amato il calcio e la Sardegna in tutte le sue rughe millenarie. Grazie ad Ernesto ho conosciuto Cuba, la sua storia controversa e la sua epica Revolucion. La curiosità mi ha spinto a leggere decine di libri ad appassionarmi alla musica e alla letteratura cubana e ad imparare persino qualche passo di salsa! Ho viaggiato spesso oltre Oceano e l'esperienza maturata mi ha ispirato alla realizzazione di un romanzo che non è solo la narrazione di un viaggio ma è l'elaborazione di un percorso ancora più complesso, quello che ciascuno di noi percorre in solitudine nel labirinto della propria anima, un cammino consumato tra gioie e dolori, tra successi e sogni sospesi o irrealizzati. Raccontare questo viaggio è stato come espormi nudo difronte al giudizio di amici o di perfetti sconosciuti e l'ho fatto sempre con una buona dose di pudore e timidezza, spesso con vergogna e fragilità ma nel rispetto della verità. Una sfida che mi ha arricchito umanamente in maniera del tutto inattesa abbattendo muri di icomunicabilità e luoghi comuni. Ho avvertito la piacevole sensazione di aver prestato le mie parole ad altre persone incapaci di raccontarsi ma che in quelle parole e in quei racconti si rispecchiavano e questo mi ha procurato un conforto assoluto. Raccontarmi è stata la miglior seduta di psicanalisi che avessi potuto desiderare!

Gigi ed Ernesto non si sono mai conosciuti ma a loro insaputa si sono presi per mano ed hanno percorso insieme un tratto importante nella mia vita e questo incontro ho provato a raccontarvelo in queste righe. Come avete potuto intendere tante analogie accompagnano le loro vite. La stessa grandezza e la stessa fragilità. La solitudine dei numeri uno. L'abbandono e il tradimento per Ernesto, la gloria e la depressione per Gigi.
(Rombo di Tuono - foto web)
In un'altra occasione il grande giornalista Gianni Brera dedicò mirabili parole al campione ferito. Era il primo febbraio del 1976 l'ultima partita di Gigi con il Cagliari e della sua furibonda carriera.
"L’uomo Riva è un serio esempio per tutti. Il giocatore chiamato Rombo di Tuono è stato rapito in cielo, come tocca agli eroi. Ne può discendere solo per prodigio: purtroppo la giovinezza, che ai prodigi dispone e prepara, ahi, giovinezza è spenta."
Gigi ed Ernesto i miei super eroi di un mondo romantico e sognatore che forse non tornerà mai più.
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