Il Domino. Un pò cinese un pò italiano
(foto Di Crosta Franco)
Chi è stato almeno una volta a Cuba non può non aver notato quelle chiassose dispute consumate tra tavolini dondolanti, ruhm, sigari e gesticolare frenetico di mani.
Il DOMINO, diffusissimo gioco da tavola, è considerato da molti il secondo sport nazionale di Cuba dopo il Beisbol. Io lo collocherei sempre sul podio ma sul gradino più basso, al terzo posto, poiché il primo spetta di diritto allo “struscio”, il vacilon di cui i cubani sono interpreti sopraffini!
Veniamo a qualche notizia storica. Ci risiamo! Anche questo gioco sembra essere stato inventato dai cinesi circa nel 1100 ma altolà...di recente sono state trovate delle tessere simili a quelle del domino in Egitto presso la tomba del faraone Tutankhamon. Che i cinesi già copiassero le cose mille anni fa? Un'altra versione storica vuole che l'inventore del gioco sia stato un italiano, un certo monaco Marco Antonio Domino che, siamo nell'XI secolo, pensò di collegare tra loro dei tasselli numerati durante una sua lunga prigionia. Quella cinese è comunque la versione più nota e documentata.
Siamo nel 1120 sotto l'impero di Hui Tsung, che era salito al trono un decennio prima ma che preferì durante il suo regno dedicarsi alla pittura e al collezionismo, lasciando ai suoi ministri la gestione della politica e degli affari di stato. Il sovrano aveva una cultura enciclopedica e favorì durante il suo regno ogni forma d'arte. A lui si deve la fondazione dell'Accademia imperiale di pittura e la consacrazione dell'arte ceramista. Fu lui stesso un grande artista (diversi suoi quadri sono al Museo Nazionale di Pechino) ed è diventato famoso anche per aver promosso il Taoismo. Ovviamente dal punto di vista militare valeva poco e sconfitto da più agguerriti rivali visse gli ultimi anni in esilio in Manciuria. Fu proprio negli anni del suo regno che secondo la tradizione, un suo statista, ideò questo gioco da tavola che ai suoi albori venne anche utilizzato come strumento di divinazione per predire il futuro. Dopo anni di oblio il gioco ricomparve al mondo nel XVIII° secolo per merito degli italiani (stavolta tocca a noi!) che lo custodirono e lo diffusero principalmente a Venezia per poi contagiare la vicina Francia, l'Inghilterra e la Spagna. Fu proprio attraverso i coloni spagnoli che il gioco arrivò Cuba diventando ben presto un passatempo economico per una popolazione povera e sfruttata.
Nel 1933 nel paese caraibico si disputò il primo torneo nazionale di Domino.
Basta con la storia passiamo alle regole, abbastanza semplici.
Per giocare basta un tavolo, dei tasselli di legno numerati ...e del tempo!
All'inizio ogni sfidante raccoglie dal tavolo un tassello. Chi pescherà il numero più alto inizierà la mano del gioco ponendo un tassello sul tavolo da gioco.
Le tessere di legno sono piccoli rettangoli aventi una doppia sezione ognuna della quale recante dei pallini che corrispondono ai numeri dallo zero al sei o in alcune versioni fino al nove. Possono essere 28 o 55 e realizzati anche con altri materiali come l'osso o il nobile avorio.
In sintesi si parla di due varianti: il DOPPIO 6 e il DOPPIO 9.
Il “doppio 6” si gioca con 28 tessere, ognuna delle quali porta inciso su un lato due punteggi variabili da 0 a 6 con sette tessere aventi due facce uguali 0/0, 1/1 etc. che si chiamano “doppi”.
Il “doppio 9” si gioca con 55 tessere fino appunto al doppio 9/9.
Si può giocare da due alle sei persone, singolarmente o a coppie.
Si inizia dunque rovesciando a faccia in giù sul tavolo le tessere e se ne distribuiscono 7 a testa se si gioca in due, 6 se si gioca in tre o 5 se si gioca in quattro giocatori.
Le tessere non distribuite vanno lasciate a faccia in giù, serviranno in seguito da riserva e formano il cosiddetto ossario; se si gioca in quattro giocatori, una volta distribuite 7 tessere per ciascun giocatore queste risulteranno esaurite. 7 x 4 = 28 giusto?
Il primo giocatore dispone la prima tessera sul tavolo; poi il turno passa al secondo giocatore che si trova alla sua sinistra: questi potrà attaccare una sua tessera a quella già posta sul tavolo solo se ne avrà una col punteggio uguale a una delle sue due estremità.
Le tessere doppie vengono messe di solito di traverso ma si possono disporle seguendo l'andamento consueto.
Se un giocatore non è in grado di attaccare una tessera, passa il turno al giocatore successivo se si gioca a quattro, oppure pesca nell'”ossario” tra quelle rimaste a faccia in giù, fino a quando non ne trova una che gli permetta di “attaccarsi”. Le tessere pescate tra le “ossa” e inutilizzabili vanno aggiunte alle proprie... e non è bello!
Vince il gioco chi finisce per primo le tessere o chi ha il minor numero di pallini sulle tessere rimaste in mano. Chi vince o esaurisce per primo le tessere si aggiudica la somma dei punti segnati sulle tessere degli avversari. La mano successiva si inizia ripartendo da sinistra in senso orario.
Può capitare che il gioco vada in situazione di stallo, quando cioè nessun giocatore può attaccare tessere. In questo caso vince il giocatore o la coppia di giocatori che possiede meno pallini e totalizza i punti corrispondenti alla quantità di pallini in mano agli avversari sottratto la quantità dei pallini delle proprie tessere. In caso di parità ulteriore la gara viene annullata. Vince il gioco chi raggiunge il punteggio stabiliti all'inizio, solitamente 200 punti.
In coppia o singolarmente, l'abilità del giocatore sta nel memorizzare le tessere e nell'intuire il gioco dell'avversario bloccandolo.
La parte più divertente del gioco è lo slang tutto cubno creato appositamente per questo tipo di contesa.
Eccone un esempio divertente! Chi ne conosce altri può ovviamente contribuire ad arricchire il glossario!
“Estas agachao!” si dice quando non si riesce ad attaccare le tessere tra di loro;
“Dale agua”, equivale a mischia le carte;
“Te voy a poner la fresca!” quando si mette una tessera nuova sul tavolo.
“Sapos”, non è una vera esclamazione ma è l'appellativo con cui si definiscono quelli che tra gli spettatori fanno i saputelli e pretendono di capire tutto. Gli odiosi e diffusi criticoni.
Sapo significa rospo, “brot ruspaz” in gergo romagnolo!
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