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Smacchiatore di ipocrisie e moralismi

Prima di entrare dentro quello che ritengo essere il cuore di questo Libro/Viaggio, vorrei fare alcune considerazioni: anzitutto la sorpresa di questa iniziativa letteraria da parte di Franco Di Crosta. Abbiamo lavorato insieme qualche anno presso la Filiale 8 della Banca di Forlì. Glielo avevo detto: “Franco scrivi! Perché la tua è una delle più belle storie d’amore che io conosca”. Mai avrei immaginato che un giorno sarebbe nato MAMBO TANGO. L’ho letto tutto d’un fiato, come un thriller. In effetti, una volta iniziato, non c’è verso di interrompersi, tanto gli avvenimenti si susseguono, incalzano, sempre nuovi, sempre diversi, sempre in contropiede. I luoghi comuni saltano in aria uno dopo l’altro, svelando la profondissima personalità dell’autore. E’ un romanzo d’amore direi, una grande storia d’amore che smaschera ipocrisie e moralismi, che non si vergogna della fragilità umana, anzi la considera il trampolino di lancio verso la meta. Situazione ben riassunta nelle parole di un grande poeta, Mario Luzi, che scrive:

“ Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che ad un tratto ne sei pieno”.

Oppure nei versi del premio Nobel Par Lagervist:

Uno sconosciuto è mio amico,
uno che io non conosco,
uno sconosciuto lontano lontano.
Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia.
Perché Egli non è presso di me.
Perché Egli forse non esiste affatto?
Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza ?
Che colmi tutta la terra della tua assenza ?

Ma oltre l’amore, anzi dentro l’amore, l’innamoramento, c’è l’isola, Cuba, descritta sicuramente meglio di qualsiasi National Geographic, per la passione che pervade il racconto, la descrizione poetica, direi pittorica, di ciò che l’autore vede. Sembra di essere lì, colpiti dagli spruzzi delle onde sulla riva, nelle visioni dall’alto, nel vento e nei lampi sul mare. Tra i vicoli pieni di vita, di odori, di colori, di musica, come solo un cuore innamorato sa vedere. Si entra nelle case, nelle cucine, nelle camere da letto e anche nei bagni. E’ una scoperta dell’isola da dietro le quinte, spesso accompagnati da “indigeni” come piace a me.

 

E poi c’è un capolavoro di ironia (grande caratteristica del romanzo), a proposito della situazione politico-sociale dell’Isola e anche della non celata simpatia per il Comandante Che Guevara. Il dramma della mancanza di libertà, della povertà, si mescola, sia con l’ inimmaginabile capacità di invenzione che questo popolo ha per sopravvivere, sia con la capriola storica che trasforma e i “conquistadores” in conquistati azzerando per un istante tutte le differenze nell’evidente fragilità e grandezza del cuore dell’uomo.

Di Crosta non è un viaggiatore sprovveduto, uno sbandato senza bussola. Nella premessa, ci tiene a sottolineare che non basta “spostarsi”, farsi una vacanza; perché il viaggio sia un’esperienza, ci vuole il coraggio di "muoversi" in quella affascinante, inesplorata terra che è la nostra umanità. Interessante notare che non considera concluso “Il viaggio” iniziato quasi vent’anni fa, lasciando intendere che i passi di questo “intimo cammino”come lo chiama lui, portano sempre ad un nuovo inizio. E a me, lettore lasciano sperare di poter leggere altre pagine, altri racconti.

Di Crosta si augura che il popolo cubano possa trovare la speranza di cambiamento non in una illusoria fuga e a questo proposito non gira attorno al problema, non ne fa una questione ideologica, ma approfondisce la natura dei personaggi che incontra. L’ago della sua bussola punta a una meta, cito: “un luogo ed un tempo, dove sia possibile vivere per sempre o anche solo per qualche istante, la pura autenticità del proprio essere”.

Di cosa sta parlando? Di un sogno, di un’utopia? No! Il libro lo spiega: ci racconta un’esperienza che l’autore ha fatto da bambino, quando in famiglia, festeggiava il Natale. “Ci si stringeva vicini e si poteva sentire il cuore dell’altro pulsare di dolcezza”.

Esperienza che è continuata e cresciuta nella adolescenza e nella giovinezza. “Mi piaceva arrivare in cima (al campanile) dove c’era sempre vento … e guardare lontano…. Mi ero illuso e poi disilluso tutte quelle volte che avevo dovuto sperimentare che l’amore attirava sempre a sé una forma di dolore inevitabile”. Oppure quando racconta di una vacanza in collina, da ragazzo, durante un grande gioco, due squadre si erano sfidate, in mezzo al bosco. La sfida gli era costata sacrificio, ferite, dolore, ma con coraggio aveva lottato fino in fondo e aveva vinto.

Franco sembra essersi portato nel viaggio a Cuba quelle esperienze, quel tesoro che dice aver custodito, cito: “nella cassetta di sicurezza della mia mente”. Pur sotto latitudini diverse, dolori e ferite d’altro genere, apparentemente solo, queste intuizioni giovanili non solo hanno tengono, ma gli hanno consentito di osservare, mettere a fuoco, approfondire, giudicare, amare, ogni singolo rapporto, ogni situazione, se stesso. Tutto questo traspare in modo inconfondibile in ogni pagina del libro.

Mi sono chiesto : chi è il protagonista di questo libro/viaggio? Credo sia Romè.

Romé, è il nomignolo attribuito all’autore che gli deriva da una sua espressione tipica “ah, povero me!” lo troviamo all’inizio del libro, da il là alla storia, poi, come una folgore riappare alla fine, inaspettato, direi quasi dimenticato e fonde in un istante tutto il contenuto del racconto.

Non ho potuto trattenere le lacrime quando è riapparso quel nome; non ho potuto evitare il tonfo al cuore che si avverte davanti ad un opera d’arte. Oppure, più semplicemente quando ti imbatti in qualcosa di vero.

Grazie Franco.

 

Pier Maria Zattoni

Forlì, 5 oct. 2014

 


 

 

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